Castelli di rabbia, di Alessandro Baricco
L’immagine alla quale è associabile “Castelli di rabbia” è senza dubbio quella del buon vino: alla maniera del prezioso nettare, le pagine di Baricco acquistano sapore e colore con il trascorrere del tempo e, in effetti, a più di vent’anni dalla pubblicazione (correva l’anno di grazia 1991), il romanzo in questione assume, attraverso le tematiche trattate, un carattere deciso dinanzi ad una realtà che gradualmente si sgretola.- Pubblicato in L'angolo del libro
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È consolante sapere che da Adamo in poi ognuno di noi vive contemporaneamente in due mondi, creati da un’intelligenza divina che, quasi sicuramente, ha inteso alleviare nel sogno le fatiche e le brutture della realtà. Ecco dunque gli uomini vivere la doppia esistenza di cittadini del mondo e del sogno, in grado di addormentarsi abbandonando i panni della quotidianità per divenire re, poeti o buffoni e assumere, nell’universo onirico, qualsiasi forma dettata esclusivamente dalla propria fantasia.
Il rapporto tra padri e figli è il problema più spinoso che l’uomo necessariamente dovrà affrontare nell’arco della propria esistenza. Essere genitori è un compito estremamente pericoloso: sbagliare potrebbe significare incenerire i sogni dei propri figli e distruggere il loro futuro in maniera definitiva. Essere figli è altrettanto difficile: non riconoscere alcuni valori trasmessi dai propri genitori o calpestare il loro ruolo significherebbe di fatto spezzare le maglie di una catena d’amore che si prolunga nel tempo e che trova i suoi punti di congiunzione nell’atto di dare la vita ad una creatura.
Quando, nel 1834, “Poeti e compagnia” fu dato alle stampe, la reazione del pubblico e della critica risultò di estrema freddezza, come accade spesso per i capolavori letterari che, a differenza di tanta letteratura/spazzatura o, in maniera più educata, letteratura commerciale (vedi i vari Moccia, Faletti, E. L. James), non sono accolti a furor di popolo, ma necessitano di tempo per essere compresi e ritenuti indispensabili per il proprio bagaglio culturale.
Nel 1929, Virginia Woolf raccolse i testi di due conferenze sul tema “Le donne e il romanzo” tenute, nell’ottobre dell’anno precedente, alle studentesse dell’Arts Society di Newnham e del Girton College di Cambridge, dando vita ad un corposo saggio romanzato curiosamente intitolato “Una stanza tutta per sé”.